Ecce Mater mea

Per giorni ho cercato di comprendere come testimoniare la mia esperienza in Tanzania presso il Villaggio della Gioia.

Sono giunta alla conclusione che è difficile trasmettere tutto ciò che il cuore contiene, decido quindi di incominciare a scrivere, di lasciarmi andare…

 

Questa esperienza è stata tutta un mistero per me, nulla è mai stato programmato, oserei dire neanche fortemente desiderato. È stato un percorso che mi ha vista quasi passiva inizialmente: non capivo cosa stesse accadendo!

La conoscenza di Padre Fulgenzio è avvenuta per puro “caso”. Le necessità che mi spingevano a contattarlo principalmente riguardavano la possibilità di una esperienza di volontariato per una laica, mia conoscente.

 

In seguito sono stata “costretta” a seguire una scia che mi trascinava fino a farmi ritrovare di conseguenza in una terra fatta di sofferenza e gioia, colori e calore. Il primo anno, agosto 2010, ricordo che l’impatto con quanto i miei occhi osservavano non fu del tutto pacifico e sereno dentro di me. La mia anima era in subbuglio: quello che le TV riportavano quotidianamente in Italia lo vedevo con i miei occhi .

 

I sentimenti che mi animavano si alternavano tra “rabbia” e “rassegnazione”. Mentre il taxi mi portava verso il Villaggio della Gioia, sul ciglio della strada vi erano bambini che salutavano e gioivano e in quegli istanti sorridevo asciugandomi le lacrime.

 

Riflettevo lungo il tragitto sul perché mi fossi trovata li, perché e a che cosa sarebbe servito soffrire dinanzi a tanta miseria e non poter fare nulla. Il caos dei dala dala (BUS) che si incrociavano velocemente, le loro brusche frenate per i pedoni che attraversavano non curanti delle vetture, mi distraevano dandomi attimi di respiro…ma durava poco e tutto ritornava nella mia mente tanto da conciliare il mio pensiero, che si imponeva, con il caos circostante.

 

Lentamente mi rendevo conto che Qualcuno al di sopra di me mi “conduceva verso…”. Mi rendevo conto che non si poteva decidere di andare in Africa così come si può decidere di fare un week-end o una vacanza altrove, perlomeno non potevo deciderlo io nelle condizioni in cui versavo: scarsa possibilità economica e dolore per la “perdita” dei miei figli che mi costringeva a restare nella mia terra per continuare le lotte giudiziarie. Sì, questo desideravo fortemente oltre ai vari impegni e obblighi che dovevo assolvere in quel periodo. Ero certa: Dio mi aveva accompagnata! Motivo per cui d’istinto baciai la terra appena entrata nel Villaggio della Gioia, risultando “folle” per qualcuno ( una volontaria che mi intravide all’arrivo).

 

Dopo aver salutato altri volontari una sagoma si faceva sempre più chiara e delineata venendomi incontro da una delle case che accolgono, ancora oggi, gli angioletti neri: Baba Fulgenzio.

Mi salutò, mi accolse, mi invitò a disfare e sistemare le valigie e a guardare intorno per osservare le meraviglie che Dio aveva compiuto in pochi anni nel Villaggio, dandomi la sua disponibilità d’ascolto laddove avessi avuto dubbi o quesiti circa il progetto.

Ci fu un attimo di silenzio e subito dopo Padre Fulgenzio decise di donarmi il suo cuore con semplici parole dicendo: « tu sei una benedizione in questo luogo ». L’ho guardato come si guarda un alieno e mi chiedevo se ci fosse stato in me un momento di perdita di coscienza tanto da dimenticare dei passaggi della mia vita che potessero dare senso alle sue parole.

 

Nel tempo, circa tre anni di volontariato, ho capito che per quest’uomo di Dio tutto è benedizione, ancor più chi ha tentato di portare zizzania, discordia, diffamazione. Lui benedice tutti, sempre, cercando di tenere a freno impulsi umani e puntando lo sguardo a Dio, fine ultimo del suo cammino terreno.

 

Ricordo poi simpaticamente che dopo qualche ora Baba Fulgenzio tornò da me ridendo, circondato dai suoi figli. Rise ancor di più ascoltando uno dei suoi figli che chiedeva qualcosa. Io, incuriosita, visto che quel bimbo mi osservava, chiesi cosa avesse detto ( non conoscevo e ahimé ancora non conosco lo Swahili ). Baba allora mi rispose con una domanda « mio figlio » - mi disse - « mi chiede perchè sei triste». «O Signore » - ribattei - « ma non sono triste». O meglio, credevo di aver celato bene quanto vissuto lungo il tragitto in taxi. Niente da fare: pessima volontaria!

 

Quel figlio però mi aiutò , mi fece entrare subito in empatia con Mamma Africa, quel figlio amato da Dio nella persona di Baba Fulgenzio, mi aveva chiaramente detto che l’Africa era felice per il fatto che “io” ero lì, “io” essere umano, “io” muzungu (donna bianca), “io” volontaria con la voglia di fare ciò che il loro padre richiedeva e dare il mio tempo per aiutarlo nei lavori del Villaggio e questo per il loro bene. Quindi non vi era motivo di tristezza.

Bambini che benedicono e ritengono un valore unico ogni volontario, insomma degni del loro papà!

 

Sicuramente più a rischio di lui, non sempre, quasi mai i bambini sono capaci di distinguere tra il bene ed il male. Con dolore ho dovuto assistere negli anni successivi ad azioni poco nobili da parte di alcuni volontari che miravano solo ad un “protagonismo”, a sentirsi “buoni”, stravolgendo regole interne al Villaggio all’insaputa dei responsabili, Baba e delle loro mamme ( “Mamme degli Orfani”, Istituto religioso fondato da Baba Fulgenzio).

Credo che nessuna realtà povera, dolorosa come quella della condizione africana debba essere strumento per cambiare o mascherare la propria natura. La bontà si esprime nei luoghi di vita comune, nelle nostre famiglie, con i nostri figli, amici, se esiste in noi veramente.

 

Credo che mostrare a questi bambini con un “eccesso di bontà” ciò che giornalmente “non hanno” ma potrebbero e dico POTREBBERO avere, non sia il massimo della carità. Da subito ho compreso che il senso della mia presenza non stava nel cambiare la loro vita con “ nuove iniziative” ma che il volontariato in Tanzania consiste nella consapevolezza che qualunque individuo in quanto essere umano è chiamato a condividere con tutti coloro che incontra sul proprio cammino la gioia di “essere” insieme. È importante camminare accanto ad una nuova etnia, costumi, tradizioni, usi, nel rispetto di essi.

Anche se può sembrare paradossale il volontario “accetta” le condizioni di miseria in Africa vivendole in una nuova prospettiva: aiutare questa terra nella crescita personale secondo le proprie risorse e abitudini culturali ed ho fatto mia l’”ideologia” di questo missionario... Padre Fulgenzio spesso ci ricordava un proverdio che rendeva chiara l'idea: Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.”

 

Ho incontrato tanta gente, per alcuni ho nutrito ed ancora nutro particolare affetto e stima, per altri (in qualche caso gli stessi), delusione e tristezza…dovuti al loro modo di fare con i piccoli. Con alcuni, vero dono di Dio, condivido ancora questa esperienza, con altri continuo a condividere nello spirito l’amore per l’Africa cercando di essere insieme, sempre e comunque, figli di questa terra.

 

Molti giovani volontari mi hanno riempito il cuore ed il mio pensiero ora va agli ultimi dell' ultimo minuto in questo agosto: Daniela, Roberta, Manuela, Massimiliano, Simone... In particolare ho sempre vivo il ricordo di due amici, Massimo Sgarbi e Valentina Meghnagi, li ricordo con stima e affetto soprattutto per quanto condiviso in quest'ultima estate, nel bene e nel male...Due persone straordinarie e speciali nell'anima, capaci di rimanere sè stessi , saldi in ciò che credono, dotati di un pensiero critico e costruttivo.

 

Quando penso al progetto di Baba Fulgenzio, penso che non vi è opera di Dio che non subisca persecuzioni. Notizie diffamanti circa la condizione dei piccoli nel Villaggio, per un periodo mi hanno messa in crisi… difficile comprendere se si trattasse di persecuzione o realtà.

Testarda qual sono ho continuato a recarmi al Villaggio in attesa di conferme o negazioni. Dopo tre anni, grazie a Dio , posso dire con certezza che alla zizzania non le è dato di crescere più di tanto e che il grano ( Mamme degli Orfani ) saprà ben custodire questo “paradiso” in mezzo all’ “inferno”.

Con gioia continuo a credere nel progetto divino che Baba in qualità di missionario e uomo di enorme fede, ha accolto.

Posso dire con certezza che gli angioletti neri sono amati, benedetti e come dice il loro papà « loro lo sanno ». Questi figli della Provvidenza sono il più bel dono che Dio poteva farmi. Il Dio della mia vita mi ha dato più di quanto l’amaro destino abbia potuto togliermi.

Non so se continuerò a recarmi presso il villaggio o se mi fermerò in questo mio servizio ma è certo che non lo deciderò io. Finché Dio vorrà sarò con forza una compagna di viaggio in questa vita dell’amata Africa, sarò rafiki pamoja na marafiki (amica con amici) nel Villaggio della Gioia.

Asante sana (tante grazie.) Mama Africa e karibu (... benvenuta) nel mio cuore.

 

                                                                                                          Prudenza Fallacara

                                                                                Presidente dell'Associazione Mamme per Sempre ONLUS